Quando ci sediamo per fare pratica di Mindfulness, abbiamo gli occhi chiusi e stiamo silenziosamente osservando il nostro respiro, ci accade che la mente vada per conto suo. Se siamo abbastanza attenti, ci accorgiamo che i pensieri che sorgono, permangono per un po’ e poi si trasformano, riguardano spesso esperienze già accadute nel passato – dialoghi e situazioni che abbiamo vissuto qualche tempo fa e che non abbiamo ancora archiviato – oppure previsioni di ciò che secondo noi potrebbe o dovrebbe accadere in futuro.
Siamo fermi lì, immobili, apparentemente quieti (con quest’aria di saggezza!) e dentro di noi si scatenano i conflitti più incredibili che coinvolgono un sacco di personaggi, comparse, e naturalmente noi, i protagonisti assoluti!
Mi ricordo che una volta durante un seminario di Mindfulness, alla richiesta di condividere quello che avevamo vissuto in quella particolare sessione di meditazione, ho raccontato con un po’ di vergogna, che i miei pensieri erano così potenti e concreti, così “veri”, che avevo avuto paura che i miei compagni attorno a me li sentissero!
Mi viene da sorridere mentre lo scrivo, ma è proprio vero: a volte quando chiudo gli occhi e mi concentro sulla respirazione (àncora e approdo sicuro della nostra esistenza), la mia mente parte per un viaggio nel futuro, per esempio, in cui tenta di prefigurarsi precisamente tutto quello che avverrà domani o tra un mese, quando dovrò affrontare un appuntamento importante o un’esperienza delicata.
Nessuno sa se quell’appuntamento si svolgerà proprio come io me lo immagino, forse andrà in modi totalmente diversi e inaspettati; ma io mi ci perdo dentro, in un proliferare di pensieri che non mi portano veramente granchè e che di sicuro mi impediscono di vivere pienamente il momento presente. Questa inspirazione e questa espirazione.
Cosa ci suggerisce la Mindfulness
Prova a vivere il presente – mi suggerisce la Mindfulness, a stare in questo respiro, in questa esperienza, qualunque sia l’esperienza presente. Senza metterti a giudicarla. Osserva ciò che sei ora, nel momento che stai vivendo, perché il solo momento reale, vivo, vero, è proprio quello presente.
Sul passato non si può più far nulla: è concluso, e per quanto mi sforzi, le cose non possono essere diverse. Il futuro non esiste ancora: è una proiezione ora brillante, ora sfocata dei miei desideri e delle mie paure. E ad ogni modo nessuno sa come sarà davvero.
D’accordo, però a volte fraintendiamo l’invito della Mindfulness: vivere il presente non significa che non esiste nient’altro e che non possiamo fare progetti per il futuro.
Vivere nel qui e ora non significa che dobbiamo cancellare tutto quello che viene prima e non pensare a tutto quello che può venire dopo. Come sempre si tratta di una danza meravigliosa e fragile tra il vivere attaccati ad un tempo che non c’è più e uno che non c’è ancora, con la fiducia e l’apertura nei confronti di ciò che il passato ci può insegnare e che il futuro ci può mettere a disposizione.
Perché l’attaccamento lo possiamo vivere anche nei confronti del presente, in un modo che ci paralizza!
Il paradosso del bambino
E qui mi viene in mente quello che io chiamo “il paradosso del bambino”. È quando i bambini piangono e fanno scenate perchè non possono avere quel giocattolo ADESSO. Sembra che se non lo possono avere adesso, allora non potranno averlo mai.
Anche se sono molto bravi a vivere il presente (noi tutti, all’epoca, eravamo bravi a stare nel qui e ora), e non sanno nemmeno bene cosa vuol dire futuro.
Mi ricordo mia figlia, per cui “dopodomani” o “la settimana prossima” non volevano dire quasi nulla e ha impiegato tanto tempo per afferrare l’idea di uno spostamento preciso di un’esperienza in avanti.
Quando, da piccola, le dicevo: “lo facciamo la settimana prossima, ok?” Lei mi guardava con un’espressione un po’ vaga – anche se sorridente, rassicurata forse dalla prima parte della frase – ma quel “la settimana prossima” le suonava probabilmente come un insieme inconsistente di parole senza senso. E mi chiedeva a sua volta: “Allora mamma, lo facciamo DOMANI?” – forse perché la parola le era un po’ più familiare, ma non a sufficienza da farle capire veramente il senso reale della mia frase.
Anche il passato per i bambini è qualcosa di veramente passato, concluso. Quando si arrabbiano e litigano per un qualche motivo, dopo che hanno fatto pace, per loro è normale ricominciare a giocare come se non fosse successo niente.
Lasciano andare gli stati d’animo difficili come se fossero liquidi, scivolano giù, scorrono via. Mentre noi adulti tratteniamo spesso amarezze, delusioni e rabbia, i bambini fanno molta meno fatica a dimenticare e a prendere solo il bello e il divertente dei loro amici e compagni di giochi.
Ma a volte i bambini – e anche gli adulti, accidenti – si incagliano nel presente.
“Se non posso realizzare questa cosa adesso, allora vuol dire che non potrò farla mai!” – con un senso di sconfitta/rabbia/rassegnazione dolorosa. Magari adducendo che solo il momento presente è il momento reale. E l’unico che possiamo vivere veramente…
Non è così! Stiamo attenti a non attaccarci al presente; ricordiamoci che è possibile realizzare le cose marciando passo dopo passo verso un futuro che non conosciamo di preciso, ma che ci fa muovere nella sua direzione. E realizzare nel frattempo piccoli miracoli quotidiani.
Anche quando si parte per un’ascesa in montagna, muoviamo i passi per raggiungere la meta che conosciamo magari solo di nome, o perchè ce la siamo immaginata – e ci accade di apprezzare tutto quello che sperimentiamo nel tragitto: gli alberi, i fiori, i suoni della natura, la luce del sole, il silenzio. E magari scopriamo che il percorso stesso è persino meglio della meta.
Ma non ci arrabbiamo/scoraggiamo perché non possiamo essere già arrivati adesso; siamo andati in montagna per camminare, non per arrivare! Se non siamo già in vetta adesso, non significa che non ci arriveremo, seppur con una certa dose di fatica e meraviglia.
E sappiamo che la meraviglia e la fatica del momento presente sono due facce della stessa medaglia, come gemelle siamesi, non c’è una senza l’altra
*La foto è stata scattata durante una delle tante edizioni di Estate Bambini, festa dedicata ai bambini e alle famiglie a Ferrara. Quanto sono affascinanti, le bolle di sapone? Più sono grandi, più ipnotizzano…
* Tutti i giovedì di luglio (6, 13, 20 e 27), dalle 18,30 alle 19,30 propongo un’ora di meditazione a Parco Massari, a Ferrara. Parleremo di Mindfulness e faremo pratica insieme all’ombra dei grandi Ginko e dei Cedri del Libano. È libero e gratuito, basta darmi una conferma via mail (elisa@quietroom.it) o messaggio: 3406439679
28 Giugno 2017 at 17:23
Ciao Elisa.
Trovo affascinante, in particolare, la questione che hai proposto dell’ “attaccamento al presente”.
Possiamo effettivamente cascare in questo sottile inganno.
Una volta che abbiamo “capito” l’immodificabilità del passato
e l’assoluta “incontrollabilità” del futuro potremmo dedicarci con rinnovata spinta egoica al presente, anzi, per dire meglio, ad una nostra certa idea del presente.
Credo che la molla che ci riporta lì sia la nostra ossessione per il “FARE”.
Nella nostra cultura il fare è imprescindibile, è un obbligo.
Certo – pensiamo – se non “faccio”, non esisto; spreco il mio tempo, la mia preziosa vita.
E’ in questo che consiste l’inganno: mi identifico col FARE.
Per Lowen il nostro attaccamento al FARE è la strategia più potente che mette in atto l’ego per evitare qualcosa che – quella sì! – ci fa veramente molta paura: il SENTIRE.
Il sentire compassionevole, non giudicante, completamente crollato (direbbe un tizio di nostra conoscenza).
Il sentire che molti considerano l’unica vera possibilità che noi abbiamo per conoscere la nostra vera natura, la nostra essenza, e che quindi può dare un senso pacificato alla nostra vita.
Trovo che la vera grande qualità della meditazione sia proprio questa: una via attraverso la quale – forse – un giorno – ci apriremo al SENTIRE.
Quando ciò accade è una esperienza che sconvolge – in meglio – la nostra vita.
29 Giugno 2017 at 16:22
Fare per non sentire come strategia di sopravvivenza, che fa proprio quello che deve: farci sopravvivere. E siamo arrivati fin qua, a dirci quanto siamo stati bravi a sopravvivere.
Ma possiamo anche fare altro! 😉
grazie Pas!
30 Giugno 2017 at 16:54
Io tendo a viaggiare… nel passato… brutta cosa, ma vivo immersa nelle nostalgie. Cerco di combattere questa mia tendenza un po’ malinconica.
Pensando invece ai bambini, ho notato questa cosa bellissima di uno dei miei nipotini. Per lui ieri e domani sono simili. Tutto bisogna fare subito! A volte usa ieri col futuro…
Respirare, concentrarsi sul respiro, meditare sono ottimi strumenti per provare (almeno nel mio caso) a scendere a terra, nel corpo che è così presente, sempre. Il corpo è davvero un calendario. Grazie per gli spunti.
30 Giugno 2017 at 22:30
Io invece sono tutta proiettata in avanti, brutta cosa altrettanto, ma posso migliorare! I bambini sono fantastici nel fare confusione con i tre tempi ed è un peccato quando poi non si sbagliano più. Come quando mia figlia ha imparato a pronunciare bene certe parole che storpiava, a me è dispiaciuto un po’.
E invece in hindi credo che si usi ‘kal’ per tutto, passato e futuro, sbaglio? Ed è il contesto che ti fa capire la differenza, almeno mi sembra di ricordare così…!
1 Luglio 2017 at 16:06
Sì, in hindi “kal” significa ieri e domani, poi lo capisci dal verbo e dal contesto