Quando facciamo una camminata in montagna, ciò che ci sostiene da tutta la vita, il respiro, è il nostro compagno più intimo e presente.
Il respiro ci accompagna sempre, di minuto in minuto, è il ponte tra il corpo e la mente e ci parla di come stiamo dentro di noi, attraverso le sue diverse forme e manifestazioni: un respiro agitato e corto quando siamo sotto pressione, rumoroso quando non stiamo bene, profondo e lento quando siamo tranquilli…
Quando si va in montagna, e si fatica su per le salite, il respiro è il primo oggetto di attenzione. Faccio questo passo, salgo su questa roccia, scelgo questo sentiero, scavalco questa radice o metto il piede in questo modo – e subito ogni mossa si specchia nel respiro.
A volte respirare è così faticoso e che mi fa male la gola; inspiro con urgenza, la cassa toracica si affretta ad accogliere l’aria fredda dei boschi, e si contrae, per lasciar passare le mie espirazioni – e di nuovo a sollecitare la prossima inspirazione.
Le gambe fanno male, soprattutto in discesa le sento sotto sforzo. Sento il calore che accompagna la fatica e la circolazione accelerata in tutto il corpo. Le mani calde – a volte gonfie, se stanno troppo a penzoloni. La schiena sudata dove si appoggia lo zaino, sento il suo peso in certi punti, il suo aderire al mio corpo. E il cuore? È rumoroso nelle salite, galoppa come un cavallo, cerca di aiutarmi, di stare al mio passo, a volte ce la fa, a volte devo fermarmi per farlo rallentare. Le punte dei piedi sono sollecitate dall’urto con gli scarponi quando vado in discesa; certe parti dei piedi, che sfregano contro il cuoio, sono infiammate, mentre i muscoli si contraggono e si tendono, per permettermi questo passo, e quest’altro.
Poi mi fermo, ascolto lo scroscio dell’acqua di un torrente, il rumore dei rami degli alberi e del vento che soffia attraverso, un uccello che lancia in aria il suo richiamo, i raggi del sole che mi scaldano il viso.
E il silenzio.
Il vuoto.
Lo spazio.
Camminare in montagna per me è molto faticoso, il mio corpo e la mia mente arrancano; eppure so che dentro a questa fatica, questa ricerca dei miei limiti, sta il senso stesso del camminare. A volte riesco a godermi il paesaggio attorno, anche se è più un sentirlo dentro di me, che un riuscire davvero a vederlo tutto.
Troppo vasto, troppo imponente per stare tutto dentro alla mia vista. Allora mi concentro sulle radici degli alberi che si attorcigliano fuori dalla terra, le foglie che scricchiolano sotto i miei piedi, il muschio che riveste i tronchi degli alberi, che se li accarezzi sembrano la schiena di un animale. E il bosco è un grande serraglio di animali immobili, eternamente in piedi a cercare la luce. Attorno, i sassi complicano il cammino, la terra scura e fertile è sempre un po’ umida.
Il cammino è ripetizione – dice Franco Michieli nel suo libro “La vocazione di perdersi” (vedi sotto). Ma un passo non è mai uguale all’altro, così come un respiro non è mai uguale al precedente o al successivo. Tutto il mio mondo entra nei miei passi e nei miei respiri, agitati quando io sono agitata, pacifici quando io sono pacifica. E tornare al mio passo è tornare a me stessa, per quanto difficile, noioso o irritante possa essere in questo momento.
Ricordo una delle prime volte che mi sono unita ad un gruppo in cammino. Ero entusiasta ma allo stesso tempo preoccupata: riuscirò a stare al (loro) passo? Riuscirò a farcela, a non rimanere indietro, ad arrivare alla meta? Tutta una serie di pretese che non facevano altro che farmi perdere di vista la bellezza di quello che stavo vivendo… faticavo e mi giudicavo (lenta, inadatta, non abbastanza).
Con il tempo ho imparato a lasciar perdere la meta e a concentrarmi sul singolo passo, per quanto questo mi costasse fatica. Si fa fatica a stare attenti a questo passo, sembra di non riuscire a vedere il panorama complessivo, a non arrivare mai; invece è proprio così che sono riuscita ad arrivare in cima: concentrandomi sul singolo passo e sul singolo respiro, su come appoggiare il piede, su come aggiustare lo zaino per potermi arrampicare su questa roccia. E ad un certo punto, alzo la testa e sono arrivata.
Solo per scoprire che è ora di scendere, e di sperimentare la fatica “alla rovescia” – quando non c’è problema di fiato e di polmoni, ma ciò che fa male sono i muscoli delle gambe, costantemente alle prese con il mio peso, l’equilibrio, gli appigli, il frenare, il distrarmi – perché scendendo mi distraggo più facilmente, complice anche la stanchezza.
Non so quando veramente riuscirò a fare amicizia con il camminare in montagna, sento che ha molto a che fare con il fare amicizia con me stessa, e proprio per questo ci riprovo ogni volta. Scopro che oggi va meglio (oppure no), ma che c’è sempre qualcos’altro da comprendere e l’infinita bellezza della montagna pronta per me, se la voglio guardare. So che posso fermarmi e assaporare con tutti i sensi quello che il momento ha da offrirmi: frustrazione, meraviglia, fatica, sollievo. Posso praticare con me stessa e con il corpo, mentre la mente, nel tempo e nell’esperienza, si tranquillizza. Smette di fare paragoni e di volere qualcosa di diverso, smette di chiederlo al corpo. Camminare in montagna non è dimenticare le difficoltà quotidiane – almeno non per me – perché vivo le difficoltà con i miei limiti fisici proprio quando sto camminando. Camminare quindi è stare in presenza dei miei limiti, non voltare la testa. Non so quando smetterò davvero di averne paura, ma ci provo.
C’è chi si annoia camminando
Il fatto è che un passo dopo l’altro è ripetizione
Noiosa ripetizione
Ossessiva ripetizione
Di per sé il cammino è esercizio ripetitivo
E se non cogliamo il grande valore della ripetizione
Rischiamo di non comprendere e di allontanarci
Ripetere mi aiuta ad andare alla radice del gesto che compio
Il camminatore diventa esperto del passo
Ne conosce tutte le sfumature e i segreti
Un passo non è mai uguale all’altro
Dipende dalle condizioni del terreno e del tempo incontrati
Dipende dallo stato d’animo che abbiamo
Dipende dall’intento per cui stiamo camminando
Ognuno di noi ha il suo passo
Perché il nostro passo dice al mondo che carattere abbiamo
Il gesto ripetuto lungamente conduce a una specie di trance
Ed è in questa trance che scordiamo la fatica
Il passo ripetitivo mi spensiera dagli assilli quotidiani
Mi apre al mondo delle sensazioni
Il dolore stesso mi ricorda che ho un corpo
Mi ricorda i ritmi della natura
È normale avere paura del percorso sconosciuto che abbiamo davanti
L’unica certezza è che sappiamo stare sui nostri passi
Sappiamo che dopo un passo ce ne sarà un altro
E un passo dopo l’altro ci porterà alla meta
Ripetere ci educa alla pazienza
Ripetere è l’antidoto alla fretta perniciosa dei tempi moderni
Ripetere è la saggezza del vecchio che istruisce il giovane
Il cammino è ripetizione.
Le foto sono dell’ultima camminata Quiet alle Foreste sacre del Casentino, attorno all’Eremo di Camaldoli (ottobre 2017).
15 Novembre 2017 at 10:29
Descrivere un’emozione e’ sempre difficile, ma in questo post sei entrata nel concetto espresso nella “vocazione di perdersi” .
Quando il cammino non ha un traguardo importante o imprese da compiere in un tempo prefissato, si apre alla meraviglia di quanto accade intorno a noi.
A quell punto, anche la pioggia, il vento, il freddo, la neve e la fatica sono tasselli che permettono di apprezzare la montagna componendone il quadro generale.
Siamo abituati per cultura e formazione scolastica ad apprezzare e rimanere incantati davanti alle opere d’arte e ai prodotti del genio umano .
Credo che dovremmo iniziare a considerare il cammino in montagna con lo stesso stupore la stessa meraviglia
Buen camino
15 Novembre 2017 at 16:24
Che posto magico quello che hai attraversato, respirato, camminato, interiorizzato, faticato… sfiorato col corpo, il cuore e la mente. Camminare in montagna è un limite, una sfida, forse persino una sconfitta. Un continuo riscoprirsi, o forse ritrovarsi. I piedi… che dono che abbiamo, e che poco usiamo (questo vale per il respiro inteso come consapevolezza, e tante altre cose). Grazie Elisa, bello tornare a leggerti!
16 Novembre 2017 at 16:11
Grazie @Clara e grazie @Daniele. Questi posti sono magici davvero, di una magia che è visibile e tangibile. Forse è per questo che ci cambiano. E tu Clara vivi proprio lì, quando sei qua con noi in Italia 🙂 che magnifica possibilità!
Ed è bello anche poterne scrivere, anche se non è così facile: camminare muove tante cose dentro di me, non tutte semplici da mettere in fila…