L’altro giorno tentavo di fare un po’ di ordine sulla mia scrivania. La mia Quiet room personale è sempre piena di libri, quaderni e materiali che mi servono per i corsi di Mindfulness…
Avevo in visita per qualche giorno un mio caro amico, originario dello Sri Lanka, cresciuto a Londra ed entrato in monastero buddhista quando aveva poco più di venti anni. Ora vive e insegna meditazione a Nalanda, un monastero vicino a Toulouse.
E dato che la stanza in questione è anche la camera degli ospiti, provavo a rimettere in ordine tutto quello che era rimasto accatastato dai corsi di Mindfulness, per fargli un po’ di posto.
Sfogliando e riordinando, mi sono capitati tra le mani un sacco di articoli interessanti, che avevo stampato in previsione degli incontri di meditazione, in modo da poter avere degli spunti di riflessione da condividere con i partecipanti ai miei corsi…
Credo che possano essere utili anche a te, se hai voglia di leggere qualcosa di interessante e non troppo lungo (come un libro).
Qualcosa di ispirante o su cui riflettere un po’. Alcuni di questi articoli sono in inglese, spero che non sia troppo difficile o scoraggiante.
Cominciamo:
(eng) un articolo di Rick Hanson, Phd., psicologo e membro Senior del Greater Good Science Center, UC Berkeley, e autore di bestseller sulle neuroscienze e il funzionamento del cervello. Nell’articolo si parla di Negativity Bias, ovvero la tendenza biologica innata a vedere il bicchiere mezzo vuoto e a sottostimare le esperienze positive. Questa tendenza è il risultato di 600 milioni di anni di evoluzione del sistema nervoso umano. Ci ha salvati dall’estinzione, ma ci crea qualche difficoltà ad apprezzare il momento presente così come è (!). Nell’articolo si racconta il funzionamento del bias negativo e si danno suggerimenti su come “rieducarlo”, sempre sulla base del presupposto scientifico che i neuroni che si attivano insieme, creano delle specifiche connessioni (neurons that fire together, wire together, per chi è habitué dell’ambiente scientifico).
(ita) “Una stanchezza che cura”, articolo su Doppiozero che recensisce un libro di Byung-Chul Han, dal titolo “La società della stanchezza”. Nell’articolo e nel libro, una serie di riflessioni sul nostro cronico essere esausti, esauriti dal ritmo di vita, dal nostro volere (e potere) fare praticamente qualsiasi cosa, dall’incapacità di fermarci, di rinunciare.
Auspicando che si possa raggiungere una vera stanchezza, profonda e lenta, che è una “stanchezza fondamentale, tutt’altro che uno stato di esaurimento, nel quale ci si sente incapaci di fare alcunché, questa stanchezza diviene piuttosto quella particolare facoltà che è l’ispirazione, un elevarsi dell’anima”.
(eng) In un articolo sulle virtù del silenzio, si legge: “Mentre il rumore produce stress, il silenzio allevia lo stress e le tensioni nel cervello e nel corpo. Il silenzio reintegra e nutre le nostre risorse cognitive.
Mentre il rumore ci fa perdere concentrazione, capacità cognitive e causa una diminuzione della motivazione e del funzionamento del cervello (come sostenuto dalla ricerca sugli effetti del rumore); gli studi dimostrano che passare del tempo in silenzio può incredibilmente ripristinare ciò che viene compromesso attraverso l’esposizione a rumore eccessivo”.
(eng/ita) Un articolo – uno dei tanti, bellissimi – di Pema Chodron, monaca buddhista di tradizione Shambala, che dirige ormai da molti anni Gampo Abbey, centro buddhista in Nova Scotia, Canada.
Si intitola “Six kinds of loneliness”, ed è pubblicato su Lions’ Roar un mensile americano buddhista. Ma se preferisci ti allego il pdf in italiano: I 6 tipi di solitudine, è un capitolo del più bel libro che ha scritto (secondo me) che si intitola “Se il mondo ti crolla addosso – consigli dal cuore per i tempi difficili”. Parla della solitudine come unico “luogo” in cui possiamo smettere di affannarci a trovare soluzioni, a risolvere problemi, a migliorare le cose… forse è proprio nello stare con l’esperienza, in solitudine, e senza per forza aggrapparci o respingere alcunché, che riusciamo a rilassarci e a goderci il viaggio.
(ita) Un articolo di Umberto Eco sulla felicità. Ricordo che lo abbiamo letto durante un incontro di meditazione per via dell’argomento felicità, che naturalmente sta a cuore a tutti, e che pare sia così difficile da realizzare.
Qui Eco fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza americana del 4 luglio 1776, che sancisce il diritto degli esseri umani al “pursuit of happiness”, l’ottenimento della felicità. Una bella riflessione sull’aspetto sociale della felicità, che spesso fa a pugni con la felicità individuale. Sono convinta che il maestro zen Thích Nhất Hạnh, se potesse commentare l’articolo, sarebbe d’accordo sul fatto che ci dimentichiamo troppo spesso che la nostra personale felicità (quella individuale) non può essere slegata da quella di tutti gli altri: siamo parte di un unico sistema, fatti della stessa materia-energia, perché dovrebbe essere diverso?
(ita) Richard Davidson, Phd all’università di Harvard, si dedica da molti anni alle neuroscienze in un modo suggeritogli dal Dalai Lama anni fa, quando gli disse: «Ammiro il vostro lavoro, ma penso che sia molto centrato sullo stress, sull’ansia e sulla depressione. Avete mai considerato di concentrare gli studi della neuroscienza sulla gentilezza, la tenerezza e la compassione?». E Davidson glielo promise, promise a Sua Santità che avrebbe fatto tutto il possibile affinché quelle “virtù” fossero al centro della ricerca.
E nel frattempo Davidson e il suo staff scoprirono anche quanti benefici sulla struttura e sul funzionamento del nostro organismo può avere la pratica costante della Mindfulness.
(eng) Sempre sui cambiamenti e benefìci che la pratica della Mindfulness può portare, questo articolo su Mindful.com. Grazie all’epigenetica siamo infatti arrivati a comprendere che il nostro DNA non è un “destino”: il fatto di possedere un certo tipo di corredo genetico, non significa che quei geni saranno attivi.
Questo articolo parla di alcuni studi scientifici che misurano i cambiamenti epigenetici dopo uno programma mente-corpo come l’MBSR, il corso intensivo di Mindfulness per la riduzione dello stress (che vi ricordo parte ai primi di ottobre a Ferrara). Pare che i geni tipicamente coinvolti nei processi infiammatori (in particolare quello che viene chiamato il fattore nucleare kappa beta, o NF-kB) risultino “spenti” dopo il programma.
Ma gli studi sono ancora all’inizio.
(eng) Ed infine, un articolo del maestro zen Ezra Bayda, allievo di Charlotte Joko Beck, attualmente direttore dello Zen Center di San Diego. Si parla di paura, delle nostre più profonde e radicate paure, alcune delle quali, fanno talmente parte del nostro quotidiano e “normale” modo di rapportarci alle esperienze, che non le vediamo nemmeno. Eppure governano silenziosamente la nostra vita, facendoci soffrire o semplicemente, creando un sottofondo di insoddisfazione e incertezza, minando la nostra possibilità di sentirci pienamente realizzati.
Ezra Bayda ne individua tre in particolare: la paura di perdere il controllo; la paura della solitudine e della perdita; la paura di non “essere abbastanza”.
Un articolo estremamente utile per capire da dove vengono certe reazioni automatiche che ci guidano e prendono il sopravvento nella nostra vita.