Uno degli argomenti di cui non parliamo quasi mai quando facciamo Mindfulness, ma che abbiamo recentemente esplorato con il gruppo della meditazione del martedì, è quello relativo alla base etica di tutto ciò che facciamo, compresa la meditazione.
Per base etica intendo la capacità di farsi carico responsabilmente di pensieri, parole e azioni dirette al bene, di sé e degli altri. Praticare la rettitudine (parola desueta, lo so) è chiedersi continuamente se quello che diciamo e facciamo è vero, buono e giusto. Se lo è per me, lo è per tutti.
Il cristianesimo, così come altre religioni, individua questo principio etico e lo inserisce nel decalogo, senza spiegarci perché non dovremmo fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Ci pensa il mondo orientale a spiegarcelo, ed il motivo è che non c’è una vera differenza tra “me” e “un altro”; la differenza è solo apparente, percepita sulla base della nostra tendenza a separarci e a crederci autonomi e indipendenti.
Ma se io butto una bottiglia di plastica in un fiume, lo so bene che questo comportamento non si ripercuote negativamente solo su me stessa, ma anche sugli altri, sulla catena alimentare e sulla natura in generale. A questa legge non si sfugge: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, almeno in base alla seconda legge della termodinamica (per rimanere in campo scientifico).
Cosa c’entra dunque l’etica con la meditazione?
Il presupposto di base è che non riusciremmo a sviluppare una sufficiente capacità concentrativa durante la pratica di Mindfulness se non partissimo dal condurre una vita etica e adottare un comportamento retto nei confronti del prossimo.
Non ha nessun senso passare la giornata a inventarsi strategie per fregare il prossimo e poi sedersi sul cuscino per cercare di rilassarsi e “svuotare la mente”. Mi sembra un controsenso, no? Forse è una buona cosa seguire i semplicissimi precetti del non rubare, non offendere, non ferire, non approfittarsi della natura e degli altri e provare a utilizzare la gentilezza invece della furberia, così tanto apprezzata dal Gatto e la Volpe
A quel punto un bel po’ di lavoro è già stato fatto, e possiamo concentrarci sulle cose più sottili, sulla sofferenza psicologica e le difficoltà che non derivano dal nostro essere stati arroganti e superficiali, ma che hanno radici più profonde e intime.
Il Dalai Lama nei suoi discorsi e anche in qualcuno dei suoi libri auspica proprio questo: il praticare per quanto ci è possibile un’onesta etica laica, che non è necessariamente collegata ad un credo religioso, ma che riguarda gli uomini in quanto tali, fatta di poche e chiare regole secondo cui ci asteniamo dal fare il male, ci impegnamo di conseguenza a fare il bene e, se possiamo, ma solo se ce la sentiamo e dopo aver praticato i primi due precetti, dedichiamo parte del nostro tempo al servizio del prossimo. Non è necessario arruolarsi in una crociata per la salvezza dell’umanità; bastano gesti semplici, come raccogliere la famosa bottiglia di plastica e metterla nel cassonetto, ascoltare davvero gli altri prima di rispondere, dire buongiorno con il sorriso