È possibile accettare la fragilità?

Leggevo qualche tempo fa uno dei tanti articoli che mi arrivano sulla posta, questa volta di Rick Hanson, https://www.rickhanson.net/ a proposito della nostra comune umana fragilità.
Un post che ha risuonato in me, forse per via del periodo che sto (stiamo) vivendo, pieno di contraddizioni, rabbia, conflitti profondi in un mondo che fatica a guardare in faccia alla realtà e da lì partire per un percorso di guarigione.
C’è chi preferisce negare, chi biasimare, chi ignorare; tutto pur di scaricare la responsabilità fuori da sé, come se ci fosse davvero qualcosa “fuori” da poter tenere lontano, come se ci fosse il modo di rimandare l’appuntamento.
La pratica di Mindfulness ci invita invece a guardare in faccia, a guardarci in faccia, così pieni di paura e rabbia che inevitabilmente creano fratture e differenze inesistenti. Se invece potessimo accettare questa fragilità? 
Se ammettessimo a noi stessi: sono arrabbiato? Ho paura? 
Questo sì, che sarebbe l’inizio della rivoluzione…

Sulla fragilità nostra e di ciò che ci circonda

Ma ecco il post di Hanson tradotto e asciugato un po’ per la nostra lettura.
“Qualsiasi sia la nostra esperienza, è fatta di tanti aspetti diversi. Da una parte le cose appaiono molto resistenti, solide e durature, pensiamo per esempio alle montagne, a certi monumenti meravigliosi e alle opere dell’ingegno dell’uomo che hanno resistito attraverso i secoli. Oppure pensiamo anche alla forza dell’amore di un bambino per i suoi genitori.
D’altro canto le cose si ammaccano, si lacerano, si sciupano, si disperdono o finiscono – fondamentalmente, le cose sono fragili.
Anche i sentimenti spesso cambiano in noi esseri umani. I corpi si ammalano, invecchiano e muoiono. Le cose si rovesciano, gli oggetti si rompono, la gente cambia atteggiamento verso di noi e i buoni sentimenti a volte svaniscono.
Le guerre iniziano e poi finiscono (male). I pianeti si surriscaldano e gli uragani inondano le città. I terremoti provocano maremoti e danneggiano i reattori nucleari.
La vita è come un castello di carte e una sola folata – un licenziamento al lavoro, un infortunio, un errore di valutazione, un po’ di sfortuna – può rovesciarlo. Guardando più in là, tra diversi miliardi di anni, il nostro sole si espanderà diventando una stella gigante rossa che consumerà Mercurio, Venere e la Terra: il Grand Canyon, l’Oceano Pacifico e tutte le opere dell’umanità arriveranno anche loro alla fine: del tutto fragili e impermanenti.
Ma a volte sovrastimiamo la fragilità delle cose, come quando non riconosciamo le riserve profonde della nostra forza interiore; credo però che siamo più propensi a negare o minimizzare la reale portata della fragilità: fa paura rendersi conto di quanto sia delicato e vulnerabile il corpo, o i fili che ci legano agli altri – così facile strapparli con una sola parola di troppo – o l’equilibrio tra clima ed ecologia sul nostro pianeta.
È spaventoso e umiliante – e non piace a nessuno – affrontare l’intrinseca fragilità del corpo, o l’estrema facilità che una relazione vada storta. I modi in cui molti di noi sono perennemente sulla corda o sono fuori di sé; le basi traballanti del sistema finanziario globale, le profonde crepe sociali all’interno di molte nazioni o l’imprevedibilità e l’intensità delle manifestazioni di Madre Natura.
Ma se non riconosciamo la fragilità, perderemo la possibilità di proteggere e nutrire così tante cose che contano, e saremo inutilmente sorpresi e sconvolti quando queste inevitabilmente cadranno a pezzi. Invece, dobbiamo abbracciare la fragilità – vederla chiaramente e prenderla tra le nostre braccia – per essere radicati nella verità, pacifici tra i cambiamenti e le conclusioni della vita e pieni di risorse utili nella gestione delle cose a cui teniamo davvero.

Ma come?

Proviamo ad essere semplicemente consapevoli della fragilità, sia reale che potenziale. Notiamo quante cose vanno a pezzi – in senso ampio – e notiamo quante altre potrebbero rompersi e alla fine lo faranno: “cose” come oggetti fisici (ad es. una tazza, una camicia, il corpo, le specie, un ecosistema o la crosta terrestre), ma anche relazioni, progetti, accordi, stati d’animo, vite e società.
Notiamo qualsiasi disagio avvertiamo nel riconoscerne la fragilità. Proviamo ad essere consapevoli delle altre tessere del mosaico della vita – come la stabilità, la resilienza e la capacità di riparazione – che possono aiutarci a superare questo disagio. Apprezziamo il fatto che è la fragilità delle cose che spesso le rende più preziose.
Guardiamo la fragilità degli altri, i loro dolori e le perdite legate a tutte le cose che sono andate in pezzi o potrebbero rompersi. Osserviamo la delicatezza dei loro sentimenti, la sensibilità e le vulnerabilità nel loro senso di valore o di benessere. Lasciamo che questa consapevolezza relativa agli altri – sia alle persone a cui siamo vicino che a quelle cui non lo siamo, ma anche alle persone che per noi sono “difficili” – apra il nostro cuore. Conoscere da vicino la fragilità degli altri ci porterà naturalmente a non comportarci duramente nei loro confronti.
Guardiamo la brevità e la fragilità della nostra stessa vita e la fragilità delle nostre speranze e dei sogni: perché aspettare un altro giorno per fare tutto ciò che possiamo ragionevolmente fare ora per realizzarli?
Consideriamo anche dove ci mostriamo fragili senza motivi: quando siamo troppo pungenti con le critiche, troppo suscettibili a uno stato d’animo difficile, troppo dipendenti da qualcosa, troppo isolati al lavoro (o nella vita) o senza risorse in diverse aree significative del quotidiano – e proviamo a fare un piano realistico per aiutarci. Ad esempio, se abbiamo capito di avere bisogno di riconoscere al sonno una priorità più alta, dormiamo di più.
Compiamo quello che abbiamo nel cuore per aiutare le vultenrabilità nel nostro mondo, sia che si tratti di una persona anziana malata della porta accanto o della vittima di un disastro al di là dell’oceano.
Alla fine, cerchiamo di darci pace con le cose che sono inevitabili: tutte le cose vanno in pezzi, in un modo o nell’altro. Tutto si rompe. Eppure c’è qualcosa di così bello in questa parte della verità, come dice Leonard Cohen in modo molto più eloquente di me:
“Suona le campane che ancora possono suonare
dimentica la tua offerta perfetta
c’è una crepa in ogni cosa
è così che entra la luce
è così che entra la luce”.

 

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