Cosa sogni? Cosa desideri per te stesso e per il mondo? Qual è il tuo grande progetto di realizzazione per la vita?
Sembrano una serie di domande difficili, quasi inappropriate, e forse ci mettono un po’ a disagio.
Siamo ancora in grado di desiderare?
O preferiamo sostituire le nostre aspirazioni e desideri profondi con la comodità, il sentirci a nostro agio, senza urti e disturbi particolari? Una volta che ho tutto quello che mi serve a portata di mano, e non mi metto troppo alla prova, tanto basta e si va avant – sperando che lunedì non sia troppo stressante.
Come si fa a smettere di soffrire?
Né la mindfulness, né tantomeno il pensiero buddhista condannano il desiderio inteso come aspirazione, come tensione verso una auto realizzazione, anzi. È questo tipo di desiderio che ci aiuta a superare quelli che consideriamo i nostri limiti e a realizzare progetti, sogni e ideali.
Quando seguiamo gli insegnamenti buddhisti o leggiamo libri sulla crescita spirituale, ci viene spesso suggerito che, per ridurre la sofferenza, occorre smettere di desiderare. La Seconda Nobile Verità enunciata dal Buddha sostiene che la radice della sofferenza sia il desiderio, la “sete” – ovvero quella inestinguibile tensione a volere qualcos’altro, qualcosa di più (o di meno), qualcosa di diverso.
Sono seduta sul cuscino da meditazione e tutto ciò che desidero è grattarmi il naso e cambiare posizione. Sono in vacanza nel più bel posto del mondo e ciò che voglio è che non finisca mai, e di poter continuare a postare i miei selfie in spiaggia su tutti i miei canali social.
Questo in effetti è un buon terreno di pratica per tutti noi: imparare a vedere dove e come ci attacchiamo al desiderio e insistiamo nel volere che la realtà si adatti alle nostre idee. Sono proprio queste le situazioni che ci capitano di continuo nella vita, in cui abbiamo una buona opportunità di allenarci alla rinuncia. Rinuncia ad un’idea di me stessa e ad un’idea di come dovrebbe essere la vita, per abbracciare quello che accade proprio ora. Al cento per cento.
Allora devo smettere di desiderare?
Proprio no! Nessuno dice questo, né il Buddha e credo neppure Kabat-Zinn (se preferisci); desiderare e farlo bene, con tutto ciò che siamo, per la nostra autorealizzazione e per il bene del prossimo, è qualcosa di potente.
Temo che la verità sia che non sappiamo più tanto come si fa a desiderare, a impegnarci con tutto il cuore verso un obiettivo. Spesso non sappiamo neanche bene cosa vogliamo, mi sbaglio?
Magari sappiamo bene cosa non vogliamo… mi ricordo per esempio che da ragazzina ho scelto le scuole superiori con un atteggiamento a metà strada tra chi è consapevole dei propri desideri (imparare le lingue), e chi è molto determinato ad evitare a tutti i costi la peste nera (la matematica!). Ed è già qualcosa.
Ma quante volte scegliamo solo il male minore? Oppure scegliamo in base ad un atteggiamento critico fine a se stesso verso ciò che non ci piace? O magari scegliamo quello che ci hanno insegnato o indotto a desiderare?
Ma cos’è invece che amiamo davvero? Cos’è che ci fa sentire vivi, ci fa brillare gli occhi e battere forte il cuore?
Cosa vogliamo veramente?
A volte siamo molto determinati a volere qualcosa: magari un altro paio di scarpe fatte in un certo modo (parlo per esperienza personale, ehm), o l’orologio figo – quello che ti notifica istantaneamente tutto quello che accade su tutti i tuoi account e ti dice di bere, fare un po’ di allenamento outdoor prima che piova.
In questi casi – ma potrei aggiungere tanti altri esempi – cos’è che desideriamo? L’oggetto in sé, o il modo in cui ci fa sentire?
Di solito quello che vogliamo non è l’oggetto, ma la sensazione di piacere e di appagamento che ne deriva, un senso di identità “accresciuta” – sensazione che però purtroppo non dipende dall’oggetto, se non in minima parte. L’appagamento momentaneo che proviamo dipende dal valore (temporaneo) che gli attribuiamo, dalle nostre proiezioni, da ciò che vediamo nell’oggetto al di là dell’insieme di parti, materiali, o funzioni che può avere di per sé.
Quando siamo incastrati in quel sistema, quello della meccanica del desiderio che vuole sempre di più per mantenere il livello di appagamento sufficientemente alto, di solito non ci sentiamo mai abbastanza soddisfatti.
La mente fa paragoni, dà per scontate una serie di cose, si crea aspettative e noi intrappolati in tutto questo finiamo per diventare dipendenti dal desiderio stesso, non tanto dalle cose in sé.
La giusta aspirazione
Capito questo, recuperiamo invece la parte sana, quella allineata con il nostro sé integro e presente, che desidera realizzare sé stesso. Ognuno ha un progetto che può mettere in campo, che aiuterà a esprimere chi siamo e al contempo sarà di utilità al prossimo e alla terra. Ne abbiamo tutti tanto bisogno che le persone (noi compresi ovviamente) siano centrate e sveglie, compassionevoli e piene di energia da dedicare al Bene.
Niśaraņa, in sanscrito significa al tempo stesso “rinuncia” e anche la “certezza di emergere” – e rappresenta il desiderio di realizzare se stessi – dove, nella dottrina buddhista, la realizzazione di sé coincide con l’uscita dal samsara, il ciclo delle rinascite con il suo carico di sofferenza.
Per realizzarlo occorre senz’altro uno sforzo – Retto Sforzo direbbe il Buddha – e per sostenere lo sforzo occorre il desiderio, la motivazione giusta, la spinta di chi immagina come potrebbe essere, e cammina dritto in quella direzione.
“È ora che ognuno
stenda il suo sogno
sulla tavola del mondo.
I sogni non prendono
spazio, ma lo danno.”
Franco Arminio
7 Agosto 2022 at 9:37
Ciao Elisa, bello il post di oggi. È calzante con quello che sto vivendo in questo momento. Un periodo complicato in tutti i sensi. Capire cosa è veramente importante per se stessi non è sempre facile, anzi… A volte la “vera” scelta è dolorosa e spaventa tanto. Un abbraccio.
7 Agosto 2022 at 15:25
ciao Giuseppe, forza allora, nei momenti tosti e complicati incontriamo noi stessi, non perderti neanche una briciola di quello che puoi conoscere di te! Un abbraccio a te.