È stata un’estate importante per me.
Sono successe molte cose, e tante – lo sento – stanno accadendo proprio sotto il mio naso, senza che io me ne accorga davvero.
Alcune cose sono precipitate, andando completamente in pezzi.
Altre hanno resistito, altre ancora sono state seminate silenziosamente dalla gioia e dalla pazienza. Qualcuna sta già germogliando: a volte mi soffermo a guardare come siano prodigiosamente forti e entusiaste di crescere e diventare grandi.
Tutto d’un pezzo?
Qualcuno mi ha raccontato una storia un po’ di tempo fa, che parla di una statua di Buddha molto particolare. La statua fu realizzata in Thailandia durante il regno di Sukhothai (1238-1438) e si trovava ad Ayutthaya, l’antica capitale, fino alla metà del ‘700. Pare che durante una invasione birmana, nel 1765 la statua fu ricoperta con un pesante rivestimento in stucco dipinto. I birmani la ignorarono considerandola una semplice terracotta, e la statua si salvò dal saccheggio quando fu rasa al suolo la città.
Alla metà dell’800, durante il regno del re Rama III, fu trasportata fino a Bangkok e negli anni Trenta del Novecento, ricoverata in un padiglione secondario del tempio Wat Traimit, che non aveva una sala abbastanza grande per accoglierla.
E lì rimase a languire per altri venti anni.
Nel 1955 fu costruito un nuovo padiglione e la statua fu preparata per essere portata al suo interno. Durante il sollevamento, una corda si ruppe e il Buddha cadde rovinosamente a terra. In quel momento infuriava un temporale tremendo, e questi fatti – la rottura del cavo, la caduta della statua e gli elementi che infuriavano, furono interpretati come un cattivo presagio. Gli operai mollarono tutto e fuggirono a gambe levate.
Il giorno seguente, l’abate del tempio cercò di capire meglio i danni e ispezionando da vicino la grande statua rovesciata a terra, notò un luccichìo provenire da una larga crepa nello stucco, che si era parzialmente sbriciolato.
Da qui il passo fu breve per rendersi conto che sotto lo strato di stucco e vecchia pittura si trovava la vera natura della statua: oro puro!
Di fatto la statua del Buddha di questo tempio è la più grande statua d’oro massiccio del mondo.
Pezzo dopo pezzo
Ecco, trovo più interessante la storia, rispetto all’oro della statua. Mi sembra che andare in pezzi e lasciare che questa cosa accada come deve accadere, sia una grande abilità, da coltivare ogni giorno.
Potersi permettere di non sapere come andrà a finire, rimanendo curiosi di quello che sta succedendo, è un esperimento che invito a tentare. Può far paura come affacciarsi sull’orlo di un precipizio, o come camminare sulla superficie ghiacciata di un lago.
I nostri strati di difese e attaccamenti, senz’altro legittimi e profondamente umani, sono come lo stucco. A volte riusciamo a camuffare proprio bene chi siamo, sotto un’armatura colorata e vistosa, fatta di meccanismi abituali, modi di dire e di dirsi, le solite vecchie rassicuranti battute, un po’ di cabaret riciclato, strategie di difesa, come se avessimo imparato a memoria un gioco – da piccoli – e continuassimo a giocarlo all’infinito, credendo che le cose possano cambiare nonostante le nostre mosse rimangano sempre le nostre solite mosse.
Scappo o aggredisco, mi lamento, faccio l’offesa, mi rinchiudo in silenzio, faccio come nulla fosse, pretendo di avere ragione, mi arrabbio, urlo o mi deprimo, ognuno di noi ha le sue mosse tipiche, il suo stile personale. Ed è interessante notare come soprattutto nel momento di crisi, incertezza o confusione, optiamo per la versione di noi più a portata di mano. Quella che conosciamo già, anche se in fondo sappiamo che ci porta sempre al solito vicolo cieco.
Ricomporre la figura (smettere di nascondersi)
Nella tradizione giapponese invece, l’oro viene utilizzato per stuccare i pezzi e ricomporre la figura. Sia che si tratti di una tazza, un piatto o una teiera, niente è troppo malridotto per il “kintsugi”, una tecnica di restauro che, invece di riportare le cose come erano un momento prima che andassero in pezzi, preferisce ricordarsi della crisi, onorare il naufragio, e trasformare i pezzi rotti in una nuova versione della tazza (piatto o teiera), in cui le “rughe” d’espressione luccicano di pasta dorata.
Un reticolo prezioso che segna i percorsi nuovi, fragili, ma così preziosi, di una vita diversa, esperienze fresche e vive.
Come se il fallimento aggiungesse preziosità a ciò che siamo, e le crepe fossero la nostra possibilità di scoprire chi siamo davvero, al di là della nostra idea di noi stessi.
Ed è così, se siamo abbastanza coraggiosi da guardare oltre le apparenze.
La vita ci dà sempre
esattamente il maestro di cui abbiamo bisogno
ad ogni momento.
Questo include ogni zanzara,
ogni sventura,
ogni semaforo rosso,
ogni ingorgo stradale,
ogni superiore (o dipendente) detestabile,
ogni malattia,
ogni perdita,
ogni momento di gioia o depressione,
ogni dipendenza,
ogni rifiuto,
ogni respiro.
Ogni momento è il maestro.
~ Charlotte Joko Beck ~
26 Agosto 2018 at 16:08
Post molto bello, Elisa, grazie.
26 Agosto 2018 at 16:15
grazie Carlo, di essere passato da questa stanza tranquilla 🙂
27 Agosto 2018 at 15:05
Ciao Elisa, che bello tornare qui. Ora leggo tutto con calma, anche i post arretrati. Grazie (non riesco a mettere il cuoricino)
28 Agosto 2018 at 15:42
ciao Clara, vagabonda a Oriente! Che bello riaverti qui! (cuoricino)
28 Agosto 2018 at 15:36
Grazie Elisa,
sempre bello leggerti ????
28 Agosto 2018 at 15:44
cara Anna Maria, chissà se riusciremo a leggere (e ascoltare) qualcosa insieme presto?! baci!